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Sunday, 18 August , 2013 / ermes

“Solo tu manchi”

“Bene, in questa casa si vive così: in mezzo a ectoplasmi, zombi animali (cani e gatti), elfi e mostriciattoli che popolano il parco attorno alla villa, fotografie che ritraggono presenze soprannaturali, piante, foglie e arbusti che non esistono se non lì, disegni di anime notturne inquiete, alani morti che la notte si rimaterializzano e che quindi, logicamente, dopo questa operazione hanno molta sete e bisogna lasciar loro ciotole d’acqua dappertutto in casa e fuori…”

villa-piccoloMontale e Lucio, il poeta barone nella nella villa incantata dei Gattopardi

di Cevasco Francesco – Corriere della Sera, 14 agosto 2013

La mattina dell’8 aprile 1954 Eugenio Montale riceve nella sua bella casa di via Bigli 11 a Milano una lettera. È un po’ piu’ grande del normale e un po’ più pesante del consentito. Ma è affrancata come se fosse normale: con francobolli per un totale di 35 lire. Montale paga 180 lire di multa per poterla aprire. E si secca. Non perché fosse ligure e avaro. Ma per la scocciatura. Montale è già un grande riconosciuto poeta. Ma a differenza di Goethe che le lettere ricevute annusava, soppesava, ne intuiva il contenuto e le buttava via («Questuanti!»), Montale le apre tutte.

Apre anche questa busta giallina e trova un libretto sottilissimo. Senza dedica. Pochi fogli, forse nove, stampati su una sola facciata. Caratteri frusti — la lettera «n» quasi non si leggeva — troppo piccoli e poco leggibili. Un foglietto di accompagnamento: «Mi permetto inviarle alcune mie liriche che ho fatto stampare privatamente e non metterò in circolazione». Seguono la firma di un illustre (è un barone, anche se preferisce farsi chiamare cavaliere) sconosciuto e l’indicazione dello stampatore: «Stabilimento Progresso Sant’Agata, Capo d’Orlando, Messina».

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Saturday, 22 June , 2013 / ermes

“L’envers et l’endroit”

“…è facile immaginare che cosa avrebbe pensato dell’Algeria, e più in generale del mondo arabo, se fosse vissuto fino a oggi. La composizione etnica dell’intera regione è stata depurata, per così dire, con l’esodo dai Paesi arabi non solo del milione di francesi d’Algeria, ma dall’intera popolazione europea. Perfino da posti come Alessandria d’Egitto, dove greci e italiani vivevano da un migliaio di anni prima degli arabi. Per non parlare della fuga degli ebrei…”

vargas llosa Stranieri di Algeri

di Paul Berman, Sole 24 Ore del 22 giugno 2013

Mi è capitata tra le mani una copia delle Cronache di Albert Camus, pubblicate originariamente nel 1958, ed è stata una lettura straziante. Camus era un francese d’Algeria che rimase sempre fedele alle sue modestissime radici, anche quando, negli anni Cinquanta, era diventato di moda considerare i francesi d’Algeria come «coloni in Cadillac con sigaro e frustino». C’erano nove milioni di algerini negli anni Cinquanta, otto dei quali arabo-berberi. Ma il restante milione, i francesi più qualche spagnolo e italiano, erano per lo più operai e piccoli imprenditori sprovvisti di Cadillac, che vivevano in Algeria dalla prima metà dell’Ottocento, abbastanza per Camus per considerarli (e considerare se stesso) «indigeni».

La guerra tra i nazionalisti arabi e lo Stato francese negli anni Cinquanta a lui appariva come una guerra civile. I nazionalisti arabi che lanciavano bombe in mezzo a gruppi di francesi d’Algeria scelti a caso, gli ufficiali dell’esercito che torturavano i nazionalisti arabi. Questi due schieramenti, orrore contro orrore, ai suoi occhi erano i consorti di un matrimonio malato. Read more…

Friday, 18 January , 2013 / NickPolitik

Il confine

 

«Bastava così poco, così infinitamente poco per trovarsi al di là del confine oltre il quale nulla aveva più senso: l’amore, le convinzioni, la fede, la storia. Tutto il mistero della vita umana è nel fatto che essa si svolge in prossimità immediata, persino a contatto diretto con questo confine, che ne è separata non da chilometri, ma da un millimetro appena.»

(Milan Kundera, Il libro del riso e dell’oblio)

A questo punto credo di aver giustificato un po’ troppo i zig-zag mentali di Pannella. Si legga cosa dice la controparte nella possibile alleanza, svelando anche la convenienza (per i Radicali) derivabile da tale apparentamento:

«C’è questa volontà di fare l’intesa e quindi nelle prossime ore ci ragioneremo anche nei dettagli e nelle “tecnicalità”. Fa molto piacere se si arriverà davvero a una conclusione dell’intesa. […] Io l’ho impostata sul tema tecnico dell’apparentamento, per consentire ai radicali comunque di avere uno sbarramento più basso di quello che avrebbero. Non devono presentare un candidato presidente. Avranno la possibilità di accedere con meno voti di quelli che sarebbero serviti e potranno controllare meglio chi governerà la regione. Un principio che si afferma non legato ai programmi, ma sui significati affascinanti di un’intesa come questa»

Complimenti! Alla faccia della lotta contro la partitocrazia che ammorba l’Italia da x-anta anni, bla bla bla…

Friday, 21 December , 2012 / ermes

“…avevano un’età media di 28 anni”

Una breve, significativa recensione a un nuovo, sorprendente volume di Liberilibri:

women vote Le dieci maestre che vollero votare

di Eliana Di Caro su Il Sole 24 Ore-Domenica, 16 dicembre 2012

Le donne italiane probabilmente non lo sanno, ma devono un pizzico di gratitudine a dieci maestre delle Marche che il 25 luglio 1906 ottennero di entrare nelle liste elettorali, contribuendo alla conquista del diritto di voto raggiunta solo quarant’anni dopo.

Sull’episodio si concentra il libro di Marco Severini, Dieci donne. Storia delle prime elettrici italiane, che partendo dalla volontà di ferro delle cittadine di Senigallia e dall’illuminato presidente della Corte di appello di Ancona Lodovico Mortara – il quale a sorpresa ne accolse la richiesta – dà conto della temperie politica del tempo. E della battaglia condotta in quegli anni da donne forti e di grande spessore intellettuale, come Anna Maria Mozzoni o Maria Montessori.

Le sorti elettorali delle dieci maestre si infrangeranno nel ribaltamento della sentenza stabilito dalla Corte di cassazione: dopo il ricorso del procuratore del re, fondato sulla «presunta inconciliabilità tra le doti tipicamente femminili e i forti doveri dell’impegno politico», il 4 dicembre la Corte annulla il pronunciamento di Mortara rinviando alla Corte di appello di Roma, che ordina nel 1907 la cancellazione dalle liste politiche delle maestre. Read more…

Sunday, 16 December , 2012 / ermes

Inverno arabo?

“Se l’Occidente rinuncia al suo ruolo in questa fase di transizione, gli islamisti ci ruberanno le rivoluzioni. Lo stanno già facendo, anche laddove – come in Siria – la comunità internazionale non ha ancora elaborato una strategia. Per instaurare un modello democratico non basta organizzare un’elezione, non basta creare un Parlamento, non basta favorire la nascita di partiti, non basta addestrare un esercito locale. Non basta cacciare il dittatore. Quello è l’inizio, poi il sistema va aiutato a crescere. Invece si sentono soltanto i piagnistei degli statusquoisti che rimpiangono il passato”.

quo-vadis-arab-spring Non c’è vera pace senza democrazia

di Paola Peduzzi su IL – mensile del Sole 24 Ore, 20 novembre 2012

Dicono che la democrazia è roba da ingenui: sostenere il cambiamento in nome del cambiamento stesso è sciocco. Dicono che le migliaia di giovani che si sono messe a protestare, negli ultimi due anni, in tutto il Medio Oriente e oltre contro regimi decennali sono diventate masse strumentalizzate dagli islamisti – era così facile da capire, cari idealisti democratici, come avete potuto illudervi? Dicono che ogni piccolo movimento nel complesso mondo mediorientale diventa una bomba gettata contro l’Occidente e contro Israele. Dicono che meno si tocca meglio si sta: lo status quo, per quanto tirannico, è da preferire a più libertà e più diritti, tanto alla democrazia non si può arrivare.

Dicono addirittura che la democrazia è diventata un feticcio da salotti buoni, da filosofi francesi con la camicia aperta sul petto (ma non era l’ossessione di un illetterato guerrafondaio texano manovrato da menti nere neoconservatrici?), non certo e non più un piano attuabile. La democrazia è un’aspirazione, dunque. Read more…

Wednesday, 21 November , 2012 / NickPolitik

Così è se vi pare

Non drammatizzate?

Costoro sono così abituati a far dichiarazioni superficiali, sono talmente staccati dal resto del mondo e dalla concretezza della vita con le sue mille sfaccettature, si sono arroccati a tal punto dietro una struttura mummificata chiamata “istituzione”, da non accorgersi dell’ovvio: quelle persone non stanno drammatizzando, non siamo ad una performance teatrale, il dramma lo vivono costantemente.

Oppure, se ne accorgono e loro sono solo degli arrogantelli da quattro soldi. Che squallore!

Monday, 5 November , 2012 / ermes

Non licere

“Correva l’anno 1897 quando la Chiesa cattolica produsse una condanna ormai pubblica della fecondazione artificiale. Non licere, decretarono stringatamente i consultori del Sant’Uffizio, sottoscrisse il papa Leone XIII, stamparono le tipografie vaticane.”

Nascite artificiali, una storia naturale

di Sergio Luzzatto, Domenica del Sole, 28 ottobre 2012

Bisognava pur scriverla, prima o poi, la storia della fecondazione artificiale. Bisognava pure che uno storico, affiancando il proprio sapere a quello di medici e giuristi, psicologi e filosofi, riprendesse dall’inizio una vicenda lunga più di due secoli: la vicenda sfociata in Italia sulla legge n. 40 del 19 febbraio 2004, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita. Bisognava pure che qualcuno si incaricasse di spiegare, attraverso un esercizio di storia comparata, quella che sembra altrimenti un’anomalia tanto flagrante quanto incongrua: la vigenza nell’Italia di oggi di una normativa sulla procreazione assistita talmente retrograda da non avere uguali nelle legislazioni degli altri Paesi sviluppati.

L’esercizio di storia comparata è quanto ha compiuto Emmanuel Betta in L’altra genesi: un libro che fin dal titolo indica il punto dolente, sottolineando come i progressi della fecondazione artificiale si siano rivelati tanto più problematici quanto più hanno impattato – oltreché sulle fondamenta del rapporto fra natura e cultura – sull’ipoteca del discorso biblico. Sicché la condizione peculiare dell’Italia di oggi va illustrata raccontando, evidentemente, la diffusione nazionale e internazionale di teorie e pratiche relative alla fecondazione artificiale: ma va illustrata anche confrontando le relative risposte delle Chiese. Questa è una storia di esperimenti scientifici, di colture e provette, ma è anche una storia di pronunciamenti dogmatici, di allocuzioni papali e decreti inquisitoriali.

Paradossalmente, la storia incomincia da un prete. Read more…

Friday, 2 November , 2012 / NickPolitik

Non ci resta che…

Tra tutti i fondi statali che si possono tagliare, proprio quello di assistenza ai malati di SLA è il più ineludibile?

Ok, abbiamo capito, le spese militari no ed eliminare l’8 per 1000 sarebbe da mangiapreti. Tranquilli, anche se già ci sono gli ingredienti, “SLA” e “8×1000”, per iniziare l’ennesima prolusione sulle contraddizioni di uno stato laico a chiacchiere, vorrei proprio soffermarmi sulla mancanza di inventiva da parte dell’attuale governo.

Ripeto: perché proprio quello sulla SLA? Non per altro, ma almeno si cerchi qualcosa che non la faccia più frignare, la ministra del lavoro. Vi prego, non se ne può proprio più di questa paraculata continua…

Wednesday, 31 October , 2012 / ermes

A un passo, l’universo mondo

Qui dietro a 500 metri da casa, pazzesco. E vertiginoso. E commovente.

La Volta Sistina compie 500 anni

Ci sono date destinate a rimanere indimenticabili nella universale storia delle arti. Una di queste è il 1508. Quell’anno Giulio II della Rovere un vecchio papa che sembrava amare la politica, la diplomazia e la guerra più di quanto non amasse la pittura, chiama al suo cospetto due artisti. Uno è un ragazzo di appena venticinque anni, Raffaello Sanzio da Urbino, e a lui chiede di dipingergli ad affresco le pareti del suo appartamento privato, le Stanze più famose del mondo, quelle che da allora in poi tutti conosceranno come “di Raffaello”.

L’altro è Michelangelo Buonarroti, giovane uomo di trentatré anni, celebre per i capolavori di scultura (la Pietà di San Pietro, il David di Piazza della Signoria) lasciati a Roma e a Firenze. A quest’ultimo affida la decorazione della volta nella “cappella magna” che quasi trent’anni prima (1481-83) il papa all’epoca regnante, lo zio Sisto IV, aveva fatto affrescare lungo le pareti dai grandi professionisti umbri e toscani di quegli anni; dal Ghirlandaio, dal Botticelli, dal Perugino, fra gli altri.

Incomincia così nel 1508 l’avventura della volta della Sistina, il duello, quasi il corpo a corpo di Michelangelo con gli oltre mille metri quadrati di intonaco da riempire di centinaia di figure. Il contratto è dell’8 Maggio 1508, l’inaugurazione della prima parte, dall’ingresso fino al centro, è del 15 agosto del 1511, del 31 ottobre 1512 la conclusione dei lavori.

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Sunday, 30 September , 2012 / ermes

Ierocrazia

“…da Costantino a Teodosio, tra la conversione dell’imperatore vittorioso a ponte Milvio nel 312 grazie alla croce (in hoc signo vinces) e gli editti che, a partire da quello di Tessalonica del 380, imposero la fede di Cristo come unica religione ammessa nei confini dell’impero. Fu allora che si determinò la trasformazione della croce da simbolo di martirio e di redenzione in simbolo di potere utilizzato dalle autorità politiche ed ecclesiastiche per la «conquista di corpi e di anime». Fu allora che le parole di Cristo «il mio regno non è di questo mondo» (Giovanni 18, 36) – che nell’età dei Lumi avrebbero suggerito a Voltaire amari commenti sulle tenaci commistioni tra Stato e Chiesa – trovarono una clamorosa smentita nel poderoso affermarsi del nuovo monoteismo trinitario che soppiantò il paganesimo”.

Cristiani da martiri a persecutori

di Massimo Firpo, Sole 24 Ore, 27 novembre 2011

«Chi di spada ferisce di spada perisce», si legge nel vangelo (Matteo 26, 52), e così anche che nessuno ardisca sradicare la zizzania fino al tempo del raccolto (Matteo 13, 30). Ma nel vangelo di Luca (14, 23) si legge anche «costringili a entrare», san Paolo ordina di scacciare «di mezzo a voi quel malvagio» (I Corinzi 5, 13) e lo stesso Gesù proclama di non essere venuto «a portare la pace, ma una spada» (Matteo 10, 34). Si potrebbero elencare altri luoghi evangelici che nel corso della storia hanno offerto contrastanti argomenti ai (pochi) fautori del rifiuto di ogni violenza in materia religiosa, così come ai sostenitori del contrario, e cioè del diritto-dovere di imporre agli altri la vera fede – qualunque essa sia – di cui ci si erge a interpreti e tutori. Del che offre conferma la spettacolare disinvoltura con cui i teologi di tutte le confessioni hanno usato la Bibbia per far dire al Padre eterno ciò che le contingenze politiche rendevano opportuno che egli dicesse, ora per rivendicare ora per negare la tolleranza religiosa a seconda del carattere minoritario o maggioritario della propria Chiesa, cattolica o protestante che fosse. Dai pogrom antiebraici alle persecuzioni degli eretici fino alla torri di New York non si contano le schiere di fanatici convinti di agire in nome del loro Dio e legittimati in tal senso da qualche autorità religiosa. Solo con il Vaticano II, del resto, la Chiesa cattolica ha riconosciuto come inderogabile diritto umano quella libertà di coscienza che ancora nel 1864 il Sillabo di Pio IX aveva definito come un folle «delirio», mero sinonimo di «libertà di perdizione». Ben venga, naturalmente, e onore al merito di coloro che hanno saputo cambiare le proprie opinioni, dando prova ancora una volta di un relativismo storico che, piaccia o non piaccia, è iscritto nella storia del cristianesimo stesso e della sua capacità di adeguarsi al mutare dei tempi.

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